Franco Federici, l’uomo che traduceva l’utopia in delibera
Franco Federici e’ scomparso alcuni giorni fa. Non ho scritto nulla su lui per via del caos che e’ anche la vita mia e non l’ho saputo.
Mi dicono da tempo che sono specializzato in ricordi. Ma sono i ricordi che vengono a me, mi avvolgono, mi anche un poco danno compagnia nelle mille vite che abbiamo.
Per me Franchino era il Comune stesso, quello di Sezze intendo . Era la parte della comunità che doveva fare delle chiacchiere risposte amministrative, per dirla meglio traduceva le utopie in delibere. Ma non a caso, non random come si fanno ora ma nel rigore di una parte politica, di una scelta politica.
Dico sempre che il paese in cui sono nato aveva la sua cartolina come Stele di Rosetta per capire: la chiesa dei gesuiti sopra, poi il Comune, poi la sezione del partito (quello comunista). Franchino era il Comune che aveva, per dirla con Dante, il suo sole e la sua Luna.
Instancabile in un comunità, in una istituzione, complessa dove le cose cambiavano di giorno in giorno e le risposte non potevano ripetersi.
Rigoroso e in questo un poco figlio di una tradizione più laica che cattolico-riformista lepina e per questo era un riferimento.
Direi che faceva quadrare in delibere i sogni di una politica che voleva fare degli ultimi non i primi, ma farli uguali. Vengo da una tradizione diversa da quella di Franchino, ma resto col male che ti si appiccica addosso quando nasci qui, essere setino. Ecco Franchino pisello (i soprannomi ci fanno sempre unici nella nostra comunità) era setino.
Ciao e scusa il ritardo, ma quando ho saputo mi sono sentito che dovevo queste righe.
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