Giancarlo Loffarelli presenta a Terracina “La spiritualità di Aldo Moro”

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Ogni volta che entro dentro la vicenda di Aldo Moro, a qualsiasi titolo, resto “contraddetto”. Ogni volta “aggiungo”. Contraddetto con il mio pensare di prima, fosse pure un minuto, e aggiungo umanità. Mi prende tanto che leggo ogni cosa che leggo come qualcosa che torce l’anima. Giancarlo Loffarelli mi manda la locandina della presentazione del suo libro “La spiritualità di Aldo Moro”, sottotitolo “nelle lettere dalla prigionia” che verrà presentato domani a Terracina a Valle Fasana alle 9.30. Mi dico, riecco.

Aldo Moro nel bagagliaio della R4 è pare San Sebastiano dei quadri del Rinascimento. Sapete bene che non appartengo in alcun modo alla visione della vita che aveva Aldo Moro, ma esiste una unicità delle differenza. Una convergenza anche tra parallele, per giocare su una sua famosa riflessione politica, che in questo caso è l’umanità. Questo, nel caso Moro, è stato l’approccio della mia tradizione politica “umanitaria” rispetto al caso concreto, che reputo la più onesta davanti alla “ragion di Stato” che le si contrapponeva e rendo omaggio a chi con forza andò contro tutti: Bettino Craxi (con Paolo VI). Ma arriva la contraddizione, Loffarelli inizia non dalle lettere che Moro scriverà durante la prigionia, ma dall’ultimo libro letto da libero. Questa scelta è dirompente, dirompente per visione ma anche per la lettura in se stessa che diventa chiave della “prigionia”, della “tragedia”, del “calvario”.

Aldo Moro aveva iniziato a leggere un testo di  Jürgen Moltmann, un teologo evangelico tedesco, e s’intitolava Il Dio crocifisso.

La croce non è amata, né può esserlo. E
tuttavia soltanto il Crocifisso procura una
libertà capace di trasformare il mondo, perché
essa non teme più la morte

Nelle lettere dalla prigionia Moro non è un eroe, dalle lettere dalla prigionia Moro non è un uomo di Stato, dalle lettere dalla prigionia non è un uomo di parte. E’ un uomo di quella umanitaria di cui vi ho accennato, cerca, esprime, spiritualità? La spiritualità è il tema del lavoro di Giancarlo ma io in questo non posso seguirlo ma mi affascina (la contraddizione). Certo è vedere (perchè ogni volta che leggo di Moro, l’immagine è la stessa in me l’auto con lui riverso dentro) quel San Sebastiano mi angoscia e mi spiega la croce che non può essere amata ma è scalino di libertà. Un libro non deve spianare la strada al banale ripetersi delle cose, ma deve dare a chi legge altre cose.

Leggeva un libro su un uomo Crocefisso per volontà di suo Padre, per un disegno più grande… una ragione divina che diventa aumana

Allora Gesù capì di essere stato portato all’inganno come si conduce l’agnello al sacrificio, che la sua vita era destinata a questa morte, fin dal principio e, ripensando al fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe nato spargendosi per tutta la terra, esclamò rivolto al cielo dove Dio sorrideva, Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto
Jose Saramago, Il Vangelo secondo Gesù

Quanto vicino questo Dio alla ragione di Stato, quanto lontano dal saper leggere l’umano soffrire.

Mi fermo qui, non è il mio terreno quello dello spirito, ma è mio terreno quello dell’uomo, quello delle cose che le scelte della vita paiono intrecciare le cose che saranno come si intreccia il vimini per fare le ceste.

Dal libro di Giancarlo ho imparato e credo che di più non si possa.

Ora non vedo più il San Sebastiano dentro il bagagliaio di una R4, ma un padre tenero che passeggia sulla spiaggia di Terracina.

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