In ricordo dell’eccidio di Roccagorga del 6 gennaio 1913, quando Mussolini era socialista

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L’ARTICOLO

Carla Amici, sindaco di Roccagorga, mi chiede “vuoi moderare la presentazione del libro sull’eccidio del 6 gennaio?”. Dico di sì, non ho la cultura del no, poi lei aggiunge “ti mando tutto”.

Tutto? Cosa, mi arriva il libro per posta elettronica, mi aspetto il solito saggio che riscopre eventi, e riracconta fatti. Invece? Mi trovo in un volume, curato da Vittorio Cotesta, che è un racconto fatto in due giorni, un racconto su di un racconto con dentro una storia. Mi aspetto una lettura facile: eroi, cattivi, epopea delle masse. Invece? Ho davanti una attenta, complessa ricerca storica. Ritorno ai tempi dell’università quando mi innamorai del “metodo storico” sotto la guida di Armando Saitta. “lo storico senza la cognizione – sia pure aurorale – degli aspetti speculativi e delle implicazioni filosofiche del suo lavoro rischia di essere un puro erudito, affastellatore di fatti e nozioni prive di significato, incapace di realizzare quelle complesse operazioni mentali, dall’accertamento filologico alla spiegazione degli avvenimenti che costituiscono la sostanza stessa dell’autentico procedere storiografico”, esordiva così Saitta nella “Guida critica alla storia e alla storiografia” su cui mi sono formato.

Fonti, metodo di ricerca e inquadramento dentro il contesto generale degli eventi. Il volume sui fatti di Roccagorga è nella ricerca attenta delle fonti, ricerca di archivio, ricerca nel potente strumento che erano, all’epoca dei fatti, i giornali. Una ricerca anche minuziosa, magari guidata dalle memorie ereditate a memoria dagli autori dei diversi “pezzi”.

E citando, un altro dei miei riferimenti storici, Edward Carr: “il passato è comprensibile per noi soltanto alla luce del presente, e possiamo comprendere il presente unicamente alla luce del passato” entro dentro brevi considerazioni, da giornalista naturalmente ed il giornalista è “storico dell’immanente e memoria di niente lui, ma i suoi scritti fonte di storia quando non saranno piu’ suoi”, una dannazione.

E’ un libro collettivo, e mi consentite di dire la prima cosa che mi è venuta alla mente, una foto che mi fece conoscere Sabino Vona di tutti gli abitanti di Roccagorga, non ricordo di che anno ma lustri fa, in piazza. La piazza barocca da cui parte la “due giorni” diretta da Vittorio Cotesta. La gente si serrava nella foto, dentro ci saranno state mille nervature differenti, ma nella foto è serrata

Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
Resistenza

(Pietro Calamandrei “lo avrai camerata Kesserling..)

Consentitemi la retorica di un vecchio azionista come Calamandrei. Ma quel serrarsi è stata la forza di una comunità, quella vittima dell’eccidio, ma anche il limite di questa storia.

Se vado in qualsiasi altro paese qui intorno, ancor di piu’ nelle città “nuove” del piano nessuno saprà rispondere alla domanda: “ma cos’è l’eccidio di Roccagorga?”. Come credo in pochissimo e tutti su di età sapranno rispondermi alla domanda “chi è Luigi di Rosa”. O ancora, cosa sono gli scioperi alla rovescia, torno a Carr “senza presente non si capisce il passato, ma senza passato il presente è al buio”.

Presentammo a Latina i giornali sull’eccidio qualche anno fa, iniziativa di Cesare Bruni, al teatro comunale, c’era anche il sindaco, ma non “richiamava” la storia, ma la “bislaccheria” di un Benito Mussolini socialista, che nella definizione di bislaccheria sta l’ignorare il passato e le sue contraddizioni.

Siamo vecchi amici miei, siamo il vecchio con le sue rughe, e l’eccidio di Roccagorga è ruga profonda che stona con il bisogno di “uomini nuovi” senza passato di questi tempi.

Dentro la storia dell’eccidio c’è la povertà, ci sono i contadini (ma non quelli fighi di eataly, quelli da dopolavoristi dell’ecologia, quelli che puzzano di fatica e fame), ci sono i padroni, ci sono gli orgogli feriti. Questa non è una storia da Netfix è una storia italiana.

Cosa significa? Che qui anche i ruoli si invertono: i buoni liberali di Giolitti, che Bendetto Croce osanna come campione del percorso della storia che è percorso di libertà,  sono massacratori, Mussolini, che per Croce è incidente di percorso verso la libertà, è dalla parte “giusta”. Avviene che una comunità marginale (quella lepino-ciociara)  è sputata al centro del palcoscenico, è dentro i giornali, dentro il parlamento, dentro le piazze. Non c’è spazio per il lieto fine, ma manco per il tragico inizio. Perche poi…

Mi colpisce un passaggio di un breve colloqui con Giancarlo Nardacci in cui mi parla di una sua parente protagonista dei fatti ma che non “raccontava” e la sua gente “non ricordava”, perché un poco qui resta il retaggio che andare contro il potere è andare contro il “Papa”, che è andare non solo contro le armi dello Stato ma contro anche il giusto di Dio. Non a caso Dante Mucci fa piu’ presa del maestro De Angelis, setino e socialista di provata fede. E la storia trova anche accidenti che la favoriscono Blaise Pascal a scrivere che “se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, tutta la faccia della terra sarebbe cambiata”  e qui se il medico condotto Almerindo Garzia fosse stato meno “esoso” con le donne e i contadini come sarebbe andata questa storia?

Storia “rimossa”, mai citata o usata come fece la sinistra comunista che trasformò l’evento in “moto rivoluzionario”, usando canoni marxisti in un contesto sociale e politico che era a dirla con Marx ancora bisognoso della proletarizzazione industriale, della coscienza della fabbrica. Fu moto di povertà, fu angheria sociale. Fu anche un pretesto: Mussolini “provò” campagne di stampa, “provò” parole d’ordine, “provò” a capire la psicologia delle masse. Come siano andate a finire quelle prove lo sappiamo con il sapere di oggi, e non furono risultati socialisti, non furono pane per gli ultimi.

Il volume è interessante, l’idea della storia riscritta collettivamente è geniale, la fatica degli autori tanta. 

Oltre a Vittorio Cotesta, curatore del volume, ci sono contributi di Giancarlo Nardacci, Eros Ciotti, Benito Allatta, Lorella De Meis, Mario Ferrarese, Alessandro Paritanti, Andrea Schiavi

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