Il miracolo delle rane, da San Lidano al brodo di papà
Il mio amico Damiano venne a dormire a casa mia a Piscinara, lui uomo di via San Carlo. Era estate piena e in piena notte mi sento chiamare: “Lì, Lì, ma che su se cose che cantano, non me fao addormì”. Io “So quelle cose che te magni agli piatto”. “Ma che… i granunchi?”. “Sì”. Trovò i “pesci cantanti” familiari e vincendo la paura dell’ignoto, per il noto, si assopì come un angelo.
Le rane sono un segno identitario del piano setino e erano così tante che “pescarle” non era che normale e una volta pescate diventavano nutrimento, medicamento. Non sono mai riuscito a mangiarle, le rane, sono schizzinoso da morire ma le trovai miracolose per via della risposta che nonna diede ad una malattia di mio padre: “ci vo i brodo di granunchio”. La faccia di mia madre fu terribile, ma non so dire perché dopo aver mangiato il brodo di rana papà stette meglio, anzi guarì.
Ma qualcosa di straordinario le rane lo dovevano avere, perché mi raccontò Filomena Danieli che una volta San Lidano lì nel piano voleva tessere le lodi a Dio, al dio degli uomini, ma le rane, nello stesso tempo, volevano cantar inni alla “grande rana” (ci sarà pure nell’universo un dio dei granunchi). C’era il rischio di una guerra di religione se non fosse stato che Lidano rivolgendosi verso ilo piano, pieno di Fede cristiana, si rivolse al popolo delle rane con un perentorio: “zitte, m’po”. Si dice che le rane si tacquero per il tempo della preghiera dei cristiani e poi ripresero il loro canto.
Ora le rane non ci sono più, la piana è silente, anche i salmi dei cristiani si sentono di rado e se ci fosse un Lidano di questi tempi direbbe
Sentivo i canti osceni degli avvinazzati
Di gente dallo sguardo pitturato e vuoto
Ippodromo, bordello e nordici soldati
Romani e Greci urlate dove siete andati
Sentivo bestemmiare in alamanno e in goto
Francesco Guccini, Bisanzio
Ecco rane e santi ma dove siete andati. Che silenzio, che sonni agitati.
E comunque le rane a noi hanno regalato anche un respiro internazionale. A me che stavo all’estero già a Bocca di fiume sapere che i francesi chiamavano le rane grenouille e noi granunchi mi faceva figlio di una Parigi minore, ma pur sempre Parigi
Grazie alle rane
Nella foto la rana di Ersilia Serecchia
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