Fantacronache Lepine/La battaglia dell’ Epitaffio, quando prendemmo (liberammo) Latina

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Nota di Lettura

Questa è una cronaca fantastica, ironica, è Salgari rispetto ai mari del sud, Verne rispetto a volare fino alla luna, è giocare con le cose che abbiamo intorno e renderle verosimili. Poi ciascuno si cercherà il vero se lo trova, e il simile se si trova affine. Noi tutti ci ridiamo su.

 

Questa battaglia si studia in tutte le accademie militari del mondo. Qualcuno dice, anche, che Putin abbia detto ai suoi generali alla vigilia dell’attacco all’Ucraina: “dobbiamo fare così, sti Lepini so fighi”.

Direte: ma di cosa parli? Di uno scontro militare avvenuto quando a Latina governava Vincenzo Zaccheo, un sindaco a forma di sindaco questo va detto, adesso è tempo di sindachetti (allora c’erano uomini di peso: chi poteva “opporsi” a Maurotto Carturan?).

Noi, noi dei Lepini sognavamo dopo secoli di oppressione prima papalina, poi italiana la libertà. Diventare autocefali: insomma fare quello che da sempre facciamo “come c…. ci pare”. Era il momento del riscatto, sotto la guida morale di Titta Giorgi, che non aveva bisogno di incarichi “tanto commanava uguale” e con le cartine delle terre che ci erano state rubate da quelli del piano ma che il bis, bis, bis nonno di Memmo Guidi si era fatto stampare da Aldo Manuzio a Venezia, manco l’istituto geografico militare ne possedeva di così fighe, muovemmo a guerra.

Precisiamo citando Cesare Chiominto (il nostro Dante, solo corese) : che nu non semo gente de lite, ma pe lo giusto ci facemo accide.

Accomme ve sete rubato le tere, le fosselle e manco ci volete pagà l’acqua delle Sardellane e di Ninfa, lo troppo è troppo.

Muoviamo guerra, le nostre truppe (le guardie comunali, i guardiacaccia e i volontari cacciatori dei Lepini (fa tanto Garibaldi) ebbero l’ordine di concentrarsi all’altezza del distributore della Ip (allora Api) sull’appia prima dell’incrocio con l’Epitaffio. Il posto era sicuro, gestito dal setino purissimo La Pallina. Tutti, puro i pipernesi avevano accettato che alla guida ci fosse il comandante delle guardie di Sezze, Lidano Caldarozzi (dirci scaltro è dirci poco).

Gli uomini erano con il morale alto, la Fiocchi ci aveva dato munizioni che potevamo buttare già il ponte di Broccolino.

Certo questa massa di forze non poteva passare inosservata, un cispadano che stava da quelle parti pensò bene di dare l’allarme: i butteri sono alle porte.

Vincenzo Zaccheo da guida sicura mosse con le contromosse: ordino al comandante delle guardie di Latina di mobilitarsi, ovunque acquarterate. Si svuotarono gli uffici e una massa umana deterinata  mosse a difesa di Latina. Lo scontro era inevitabile.

Il vescovo che nella diocesi ha: Latina ma pure Terracina, Sezze e Privero, tentò di tutti: Fermi fratelli, fermatevi. Invocò Santa Maria Goretti, San Lidano e San Carlo (di cognome fa Marchionne), io Beato Tomasso di Cori (ancora n’era santo), l’omonimo ma più importante d’Aquino. Ma ogni trattativa fu vana. Ebbe un insuccesso che Zuppi ha fatto già firmare la pace.

Uomini duri in una dura battaglia.

Ma? Vedete la storia, ma storie dentro se stessa. Vincenzo Zaccheo pareva Napoleone, con il cannocchiale guardava il campo di battaglia. Era come Il Duca d’Aosta a Goito 30 maggio 1848, tutto era perduto nel campo di battaglia: il duca ordine “A me le Guardie per onore di casa Savoia”, i granatieri accorsero e petto contro i cannoni, ma vinsero e da allora ogni granatiere sa che se la patria chiama le guardie le guardie ci sono.

La storia però è bislacca, cambia da tempesta a bonaccia

Tutto rovinava per noi lepini, ma un uomo combatteva con la sua coscienza, la sua sapienza, la sua ragione di essere quel che era. Il comandante delle guardi di Latina era Lidano Marchionne, il nome spiega il sangue, il cognome la santità. Non poteva, ordinò ai suoi di rompere, non poteva andare contro se stesso.

Dopo 20 minuti, molti presero il bus la circolare destra, fummo a Latina. La libera bandiera Lepina anarchica sventolava tra i palazzi dell’ordine e della ragione. E Zaccheo? Gli rendemmo l’onore delle armi, il papa a Sermoneta, da carabiniere, aveva difeso noi  lepini da italiano e noi non dimentichiamo perchè siamo gente di cuore, generosi e sempre fidati che i malfidati non ci piacciono proprio.  Maurotto Carturan si dichiarò buttero, restando cispadano lo perdonammo (anche perchp pure mamma mia era cispadana, mo non esageriamo co le differenze)

Andò così quel giorno di tanto tempo fa, il suo ricordo si è cancellato come la battaglia di Anghiari nel dipinto di Leonardo. Resta un sogno, resta la memoria di chi dice che c’è stato nella certezza che non poteva essere, e del dipinto non c’è traccia ma qualche riproduzione. Era il 30 giugno 1440 e i fiorentini se la videro con i milanesi.

Nella foto la battagli di Anghiari, riproduzione di Paul Rubens sul lavoro di Leonardo

Dimenticavo il bilancio della battaglia: due moto di Latina sono rimaste senza benzina all’altezza del ponte delle acque medie, una macchina della municipale di Norma è passata a prende Massimo Passamonti e a fatto via Tor tre Ponti per evitare ingorghi, di questa vettura non si ha più notizia, MI5 sostiene che alla vista del mare si siano fermati. Un’auto dei caciatori dei lepini sermonetani ha dovuto accompagnare al treno per Roma la moglie di uno di loro ed ha tardato.

Due guardie di Sezze si sono sbucciate un ginocchio e sono dovuti tornare indietro alla casa della salute, che il Goretti era bloccato. Un cacciatore di Maenza ha riportati lievi ferite per l’attacco di una gallina, evidentemente padovana.

Il grido di battaglia degli uomini del piano era “San Marco”, dei Lepini “eviva San Rocco”. Le ciammellette le ha portate Memmo

 

 

 

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