L’educazione di via Felice Cavallotti

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I giorni di luglio sono lunghi, lunghi che fai fatica a finirli. Poi fa caldo e del tempo ne rimane. Tempo in cui tornato a trovarti dei ricordi, le memorie.

Ero timido, in fondo questa cosa resta seppur nascosta o celata dall’eccessivo rumore. Si mangiava presto e il pomeriggio era un tempo infinito, in una calura insistente. Non riuscivo a dormire, il sonno è un problema quando viene ma non meno quando si astiene.

Allora mi mettevo nascosto, di nascosto ad ascoltare donne fatte nel loro raccontare e solo le cicale avevano lo stesso tempo. Parlavano fitto di cose che non capivo, pregavano talvolta anche in lingue arcane, ed erano con vestaglie nere, nero pece.

Nero, perchè dicevano il tempo finisce e come finisce non lo determiniamo. Erano donne sagge alla vita che fuggivano in questi rifugi che erano le loro vite.

Parlavano di figli, di madri, di cose sentite per accadimenti in mondi lontani, nel loro dire non c’erano morti o vivi, c’erano umani che tornavano, partivano, o riprendevano un discorso come se nulla fosse ma era fermo a 100 anni fa.

Ascoltavo, cercavo di decodificare. Ero come quei frati a Roma che hanno le tavolette scritte in rongo rongo, la scrittura dell’Isola di Pasqua, sono sicuri che in quelle tavole c’è una storia ma non la sanno raccontare.

Ho imparato in quell’ascolto che era così, poi ho cercato di dare filo a simboli e ho tratto la mia storia che forse con quella ascoltata non ha nulla a che fare. Loro, già loro, credo sapessero di questo ascolto ma volevano non ripetere le loro storie ma che io, o chiunque ascoltava, scrivesse il suo.

Una educazione di rimbalzo che oggi mi ha aiutato a capire che capita di partire, ma se raccontato ancora di chi è partito quello è restato, non rivive ma vive.

Un mio amico è andato via ieri, quando l’ho saputo sono gelato, addolorato poi ho ricordato, poi ho cancellato l’idea che non era qui ma mi è parso lo stesso che quella volta… l’ho sentito stanco, perchè ho ricordi stanchi, l’ho sentito ridente, perchè abbiamo riso, l’ho sentito forte perchè ho ricordi forti, l’ho sentito fragile perchè ho ricordi di fragilità.

Ma non lui, ma i ricordi chiamano ricordi, volti sorridenti. Ecco vi ho raccontato quello che mi hanno insegnato senza alcuna lezione.

Mi scuserete se mi perdo, se mi sono perso nel racconto stesso, ma è un modo per salutare e non far morire un modo di pensare.

Ero piccolo ed ho sentito discorsi grandi in una casa in via Felice Cavallotti (oggi via Marconi) ma senza lezioni, per induzione e resta indelebile.

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