Alluvione e siccità/ La saggezza setina e la figuraccia col vescovo: pe lo piove e lo cagà mai cristo pregà

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Questo racconto è dedicato a chi in Emilia e in Romagna combatte con l’acqua una tragedia.

 

Vedo in tv scene da brivido sulla alluvione in Emilia Romagna e Marche.

Don Camillo aveva lavorato fino alle tre di notte a portare al primo piano e in solaio tutta la roba del piano terreno. Era solo e aveva faticato come un maledetto. Alla fine si era buttato sul letto, cadendo in un sonno di ghisa. Si svegliò  alle nove e mezzo quando sentì urlare quelli che scappavano. Ben  presto non sentì più nessun rumore e allora sì alzò e si affacciò alla finestra a guardare il sagrato deserto. Scese perché voleva vedere cosa fosse successo, ed entrato nel campanile salì su fino in cima. Di lassù si vedeva tutto benissimo: l’acqua aveva già invaso la parte bassa del paese e lentamente avanzava.

Giovannino Guareschi, Don Camillo, Peppone e la grande alluvione del 1951

La natura è così, noi facciamo i padroni ma lei fa di suo. Sento ancora gli echi di esperti che “espertavano” di siccità irreversibili, di morte della pioggia.

Sono contadino, i contadini sentono l’aria, guardano il cielo e ricordano i loro ricordi, quelli dei padri e quelli dei nonni.

Una volta mi trovavo in un luglio afoso a stare a tavola con un vescovo di Latina, credo fosse Giuseppe Petrocchi, era appena giunto da noi, lui era di origine marchigiana. Era una estate torrida, non pioveva da settimane. In Sardegna i vescovi avevano organizzato messe per chiedere la pioggia, che non arrivava. A tavola di questo si parlava, io era capitato accanto al vescovo che era interessato al mio dire visto che tra i collegi, ma ci voleva poco, ero l’unico autoctono, aborigeno, indigeno, insomma era l’unico di qui da secoli.

Nella foga del dire mi trovai a dire (lo spirito della battuta mi porta sempre guai, ma io l’amo la battuta) “sa come dicono da queste parti per la pioggia?”. Lo dissi nelle spirito che era di mio nonno: gl’omo non se leva i cappeglio manco dinanze agli Papa. Quindi eccellenza non l’avrei detto male e manco altre cose che coi preti non ti devi mai allargare, noi abbiamo avuto il giogo del Papa Re e non lo dimentichiamo.

Mentre facevo lo spiritoso pensavo alla cosa da dire e, anche un anticlericale, ha la vergogna, umana vergogna. Il prelato era interessato a capire le sue nuove pecore e mi pressava: ma mi dica cosa dicono?

Feci di tutto per uscirne, tranne uscirne naturalmente. Ero in un cul de sac. Se dicevo era figuraccia, se non dicevo peggio. Lui, il vescovo, mi guardava fisso. Dovetti, per me, per la libertà, per la setinità dirlo.

Presi fiato e pronunciai i detto (capire quanto sono cretino), che faceva così: pe lo piove e lo cagà mai Cristo pregà.

Gelo, silenzi di tomba. Gli astanti, i colleghi,, non capivano (ma non è una novità) il prelato sì. Istanti brevi che parvero secoli, poi il vescovo scoppio in una risata fragorosa trovando la mia tesi, quella dei contadini spiritosa.

Da allora ogni pranzo ufficiale con i giornalisti mi veniva a cercare, vieni Lidano siediti qua vicino a me.

Prima poi piove come primo o poi si fanno le cose che il corpo sciolto sente, è la vita amici miei.

Non moriremo di sete, non moriremo di acqua troppa moriremo di morte, di questo potete star certi e non credete agli esperti ma la mattina guardate verso la marina se è brutto state a casa e fate i lavori di cantina, se è bello andate al campo con zappa e mantello.

Questo dovevo al tempo, al vescovo precisai dopo l’assunto: sa qua siamo un poco blasfemi. Orgoglio dei butteri

Comunque in questa storia, son certo, a salvarmi ci mise mano San Lidano che i tribolati protegge

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