“Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”. Voltaire
La caccia alle streghe era molto diffusa in Europa, non solo durante il Medioevo ma soprattutto nel corso dell’età moderna.
Tra il quindicesimo e il diciottesimo secolo, divenne un modo attraverso il quale le autorità civili e religiose controllavano la popolazione e stigmatizzavano quegli individui che si collocavano ai margini della società o adottavano apparentemente comportamenti che si allontanavano dalla norma.
Così sotto accusa e vittime della caccia alle streghe, finivano quelle donne che apparivano non conformi o non integrate all’interno della comunità.
L’Inquisizione, le autorità civili e la Congregazione del Sant’uffizio si impegnarono contro le donne accusate di stregoneria, torturandole, processandole ed infine ardendole vive sul rogo.

La caccia alle streghe rappresentò il culmine dello spirito antifemminista e sessuofobico da secoli radicato nella cultura ecclesiastica.
Anche Sezze ebbe la sua vittima della caccia alle streghe.
Nel 1703 l’inquisizione romana condannò per “finta santità” suor Maria Valenza Marchionne, badessa del monastero delle Clarisse di Sezze. Accuse infamanti, basate su insinuazioni di relazioni sessuali, di vanagloria e di pretesa di santità
Suor Maria Valenza era di origini popolane. Nacque da una famiglia di contadini a Sezze nel 1630, in un contesto di religiosità popolare fortemente caratterizzata dal francescanesimo. Una famiglia venuta dal nulla, che tramite l’esperienza religiosa acquisì prestigio nella capitale. Soprattutto grazie al fratello di Suor Maria Valenza, il “nostro” San Carlo da Sezze, con il quale condivise gli anni dell’impegno verso gli ultimi.
Maria Valenza Marchionne concretizzò il suo riscatto sociale quando tornò a Sezze come badessa del convento locale delle Clarisse di Santa Chiara.
Lei però non aveva i giusti “requisiti” di nascita. Si trovò schiacciata tra il giudizio dei paesani (o forse più delle paesane) e lo scontro tra Francescani e Gesuiti. Pedina inconsapevole di qualcosa molto più grande di lei.
Fu così appunto, che nel 1703, suor Maria Valenza fu condannata dall’Inquisizione a dieci anni di carcere per quietismo.
Ai giorni nostri le cose non sembrano essere cambiate di molto.
Ai giorni nostri, la caccia alle streghe, il più grande femminicidio di massa, sembra aver solo cambiato abito.
L’Inquisizione ha lasciato il passo a giudizi che scaricano sulle donne la responsabilità di una molestia o di uno stupro subito. Mentre il rogo si è trasformato in percosse, acido e omicidio.
Una recente indagine dell’Istat ha rivelato che, per un quarto degli italiani, per una ragione o per l’altra, le vittime “se lo sono cercato”.
Il denominatore comune resta la repressione della femminilità.
La donna è perseguitata ogni qual volta prova a scavalcare i confini dell’idea tradizionale di famiglia, di maternità, di coppia. Ogni volta che disobbedisce alle regole di una società rigidamente gerarchizzata.
Così, nonostante gli innegabili progressi compiuti sul terreno della parità dei diritti di genere, sembra ancora tristemente lontano il giorno in cui le donne potranno occupare il posto che compete loro nella società.
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