Il filo di un quadro
Prese un filo, ne diede un capo a quell’uomo. Poi? Poi dicono che i fili tengano a memoria la vicinanza. Loro se lo raggomitoli, il filo, ti porta oltre quello che hai perduto.
Strano individuo l’uomo col pastrano che entrò accompagnato dal vento in quel locale, bolla di un mondo senza vento. Lei assaporava un dolce per aver buongiorno dalla notte. Il caldo era anche aroma di robusta.
Come se fosse quel vento un bianchetto sul foglio, trovo che era tutto da scrivere, senza soggetto. L’avventore ordinò un brivido, pardon una tazza di caffè. Lei le passò un brivido, pardon una tazza di caffè.
Sul giornale c’era il bollettino del tempo perduto, qualcuno dice scaduto.
Ma le cose non le metti in fila come nel gioco del domino per farle venir giù, ma si mettono come vogliono, Si dispongono per conto loro.
La voce era, come dire, calma. Quasi cadenzata, con parole cercate, una per una.
Strano personaggio, strana la personalità che viene da un viaggio, prova di coraggio. Sulla parete un quadro che pareva niente invece ha nervi, nervi, prati, colombe e rose o mille alte cose. Sfuma il bianco nelle rose, campi di maggese, spighe e spese, sopra un tempo bigio.
Tutto si consuma con la prepotenza di un tempo piccolo, con la dolcezza di un tempo dilatato. Che strano, un salto e sono nel campo fatato. Il quadro è un tempo suo, come un dimensione di colori, di sapori. Il quadro profumava.
Come gira il mondo, tempo capovolto, tempo profondo. Nascosta nel mondo anarchico di un fosso, una rana non si vede ma inizia a cantare.
Prese un filo e lo cominciò ad arrotolare. Il quadro si riformava immobile in mille danze.
Lui finì il caffè, guardo il salto che dal quadro avrebbe fatto, come Rosa purpurea de Il Cairo.
In foto: quadro di Ersilia Serecchia

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