Sezze, paese inclusivo?

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Giornate vivaci quelle che si sono susseguite nei giorni scorsi a Sezze.

L’amministrazione comunale, rappresentata dal Sindaco, ha ripreso il tour dei quartieri. Qualche giorno fa è stata la volta del quartiere di Santa Maria. Sullo sfondo suggestivo del Belvedere, salvato in extremis, un gruppo di cittadini ha rappresentato le loro istanze al Sindaco presente. Foto del momento conviviale sono girate sui social e, oltre al bellissimo paesaggio apprezzato sullo sfondo, si notano anche il mare di macchine parcheggiate su una delle più belle piazze del paese. Si attende ora il nuovo appuntamento che l’amministrazione fisserà per il tour.

Nel frattempo, a Sezze Scalo, domenica 9 ottobre si sono svolti due eventi legati ai culti religiosi. La mattina, nella parrocchia di San Carlo da Sezze, le famiglie della comunità cattolica, si sono incontrate nel campetto dietro la chiesa per una ricca colazione insieme. È stata l’occasione per ritrovarsi in modo conviviale e iniziare un nuovo anno insieme. Subito dopo è stata celebrata la messa con mandato per gli operatori pastorali.

Contemporaneamente, sempre a Sezze Scalo, alle ore 11:00 è stata inaugurata la sede dell’Associazione Islamica in via Lombardia, alla presenza di diversi amministratori locali.

Le convivenze multietniche

Dalla premessa, sembrerebbe di vivere in un paese dove l’inclusione sociale è il fiore all’occhiello. In effetti, si può affermare che Sezze si è distinta negli anni come paese caratterizzato dalla presenza di diverse popolazioni con cultura e credo religioso diverso. Una caratteristica tipica di comunità rispettose della Costituzione Italiana e proiettate verso una visione futura, inclusiva e progressista.

Peccato che, nella realtà dei fatti, tolte le celebrazioni di rito, le questioni non stanno così come si vogliono dipingere. Un segnale esplicito lo ha determinato il risultato elettorale dello scorso 25 settembre. Fratelli d’Italia, partito conservatore e nazionalista, primo tra tutti anche a Sezze.

Dal punto di vista della convivenza civica, si riscontrano pochi esempi d’inclusione sociale. Per esempio, si può ricordare una bellissima iniziativa promossa anni fa dall’Associazione Quinqunx. Nella piazzetta antistante la loro sede, nel quartiere di San Lorenzo, nel centro storico ci furono scambi culinari tra italiani e rumeni. Risultato: bellissima e autentica serata. Peccato che sono iniziative promosse da singoli cittadini o singole associazioni, con il limite temporaneo di un festival o di una serata in compagnia.

Il giorno successivo, con il ritorno alla quotidianità, riemergono fenomeni sociali per la mancata inclusione.

Da qui, il limite diventa sia sociale, sia fisico e di conseguenza è evidente il fenomeno di “ghettizzazione”.

I rumeni si possono trovare principalmente insediati nel centro storico e non sempre in abitazioni dignitose. Ragazzi provenienti da paesi del continente africano trascorrono, invece, il loro tempo bivaccando al parco del Monumento o alla Stazione dei treni.

Se ci spostiamo verso le campagne setine, troviamo comunità d’indiani sfruttati nei lavori delle campagne con drammatici risvolti finiti sulle cronache nazionali.

Inclusione, integrazione, segregazione o esclusione?

I campanelli di allarme per l’enorme frattura sociale che esiste, si leggono in parte sui social. Infatti, troviamo molti setini che, tra grida e lamenti evidenziano il disagio che vivono ogni giorno in questa convivenza forzata e mai risolta.

Per quanto sopra esposto, ci si dovrebbe interrogare su che tipo di comunità siamo. E’ una domanda legittima che deve aprire necessariamente a riflessioni profonde. Ci sono state grandi trasformazioni, e a queste non è stata formulata una risposta adeguata per includere tutte queste comunità in modo autentico.

E’ finito il tempo della retorica e finché continueremo ad osservare gruppi di persone di nazionalità diverse relegati nel centro storico ormai abbandonato dai setini, alla stazione dei treni o al Monumento, nelle sale giochi o nei bar a bivaccare dietro un bicchiere di birra, senza un’autentica partecipazione alla vita sociale del paese, non si potrà parlare di inclusione.

Rimarrà solo la limitata curiosità da parte di qualcuno nel regalare un benvenuto di accoglienza per poi mettere tutto nel dimenticatoio il giorno dopo.

Inoltre, va sottolineato che le limitate risorse economiche dell’Ente non permetteranno di dare seguito alle richieste raccolte nelle riunioni di quartiere. Il rischio delle richieste infrante, aumenterà le frustrazioni e i malumori già ampiamente diffusi. In questo complesso e drammatico scenario, frammentato, diviso, livoroso e incattivito, auspichiamo la nascita e lo sviluppo di “comunità solidali”.

Un lavoro che, se coordinato con grande competenza e professionalità potrà formare e diffondere comunità che siano in grado di raccogliere ed accogliere le vere istanze dei cittadini, tutti. Ma, bisogna avere la voglia effettiva di scardinare un problema sociale serio e forse, si potrà sperare ad un barlume di luce, ad oggi rimasto tabù e tenebra.

 

Articolo di Rita Palombi

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